Cippo di Carpegna. Il cielo di Marco
È sul Carpegna che ho preparato tante mie vittorie. Non ho bisogno, prima di un Giro o di un Tour, di provare a una a una tutte le grandi salite. Una sola volta, se ricordo bene, sono andato a dare un’occhiata in anticipo al Mortirolo e al Montecampione. Ma in macchina. E non mi è servito neanche molto.
Il Carpegna mi basta. Da Coppi in poi, è una salita che ha fatto la storia del ciclismo e ogni tanto anche il Giro c’è passato. Io non le conto più le volte che l’ho fatta, allenandomi. Direte che sono un tradizionalista. Forse sì. Sempre ad allenarmi sulle stesse strade di casa. Sempre a spingere gli stessi rapporti, gli stessi che uso in corsa. Sempre in giro senza borraccia, perché mi bastano quelle quattro fontane che so io dove sono. Una proprio a Carpegna, il paese.Marco Pantani
Tabella riassuntiva | |
Lunghezza | 6,04 km |
Aumento di quota | 596 m |
Perdita di quota | 0 m |
Quota minima | 762 m |
Quota massima | 1358 m |
Pendenza media | 9,9% |
Pendenza massima | 16% |
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Carpegna è una bella località del Montefeltro, famosa come luogo di villeggiatura, carica di attrattive storiche, culturali e gastronomiche. Siamo nelle Marche, ma si respira aria di Romagna.
Per chi pratica o segue il ciclismo Carpegna è un luogo particolarmente importante. Già nel 1969 il Giro d’Italia passò di qua. Il Cippo divenne celebre con il Giro del 1973 e del 1974, grazie alle sfide tra Eddy Mercks e Josè Manuel Fuente. Bellissime le immagini dell’epoca, che si possono rivedere qui. Ma è grazie a un romagnolo che questo posto è diventato meta di pellegrinaggi da parte di migliaia di ciclisti. Uno scalatore venuto dal mare, probabilmente il più forte di tutti i tempi, certamente il più amato: Marco Pantani.
Quando ero un bambino mio nonno mi parlava dei grandi del ciclismo, che venivano visti come veri e propri eroi. Quando nominavano Fausto Coppi, Gino Bartali o Fiorenzo Magni, gli anziani abbassavano la voce, in segno di rispetto. Oggi io faccio la stessa cosa, ogni volta che parlo di Pantani a mio figlio. Perché non bisogna mai dimenticare che nessuno muore finché qualcuno lo ricorda.
Diversi anni fa decisi di venire da queste parti per conoscere questa salita mitica, così partii in auto e arrivai a Urbania, per pedalare fino a Carpegna. Affrontai la salita con le lacrime agli occhi e non certo per la fatica, che incredibilmente non provavo. La cosa che mi colpì di più però fu la sensazione di non essere solo. Ogni tanto mi voltavo per vedere se ci fosse qualcuno vicino a me, di cui mi sembrava di sentire il respiro.
Sicuramente le innumerevoli scritte dedicate al Pirata contribuiscono a suggestionare chiunque arrivi qui pedalando, ma non posso fare a meno di pensare che ci sia qualcos’altro, qualcosa difficile da spiegare, come una presenza che è lì, ti osserva e ti aiuta a superare la sofferenza e la difficoltà.
In passato ho affrontato altre salite che fanno parte del mito. Il Fedaia per esempio, il Pordoi, lo Stelvio. Tutte provocano emozioni indescrivibili. Le grandi salite famose ti portano a pensare all’impresa, al campione, a una folla che acclama i corridori seguiti dalle moto e dalle auto. Sembra di sentire le voci, i motori, gli altoparlanti. C’è rumore, confusione e tanta adrenalina che contrastano con il silenzio della montagna. Ci sono Coppi, Bartali, Magni, Pantani che salgono sull’Olimpo del ciclismo in un’atmosfera grandiosa.
Qui non c’è niente di tutto questo. Qui il silenzio rimane. Qui c’è Marco. Un ragazzo che veniva ad allenarsi, da solo con se stesso, per andare poi ad affrontare le salite famose e trasformarsi nel Pirata. E nel silenzio, rotto solamente dal passaggio delle ruote sulle foglie secche, è facile sentire il suo respiro e magari andare oltre con la fantasia e immaginarlo volare via leggero con la sua indimenticabile pedalata.
Questa volta tocco Carpegna durante un viaggio che ho chiamato Sulle tracce dei Maestri, una sorta di cammino alla ricerca di me stesso tra Porto Sant’Elpidio, sulla costa fermana (Marche), e Bologna, passando attraverso luoghi per me speciali. Sono alla seconda tappa. Partito da Cantiano, ho attraversato bellissimi paesi come Apecchio e Sant’Angelo in Vado. Arrivo da Belforte all’Isauro, con 2000 m di dislivello nelle gambe. Sono affaticato e non mi sento bene. Mi fermo per una sosta in un bar per riprendermi prima della salita che costituisce l’obiettivo principale della giornata. Riparto e imbocco subito la strada per Cippo.
Si parte subito con pendenza a doppia cifra. Arrivo a un ponticello. La strada spiana e si restringe, inoltrandosi nel bosco. Iniziano i tornanti, ventidue in tutto, ognuno contrassegnato da un cartello marrone con il numero corrispondente. La pendenza praticamente non mollerà mai fino alla località Cippo. La cosa sorprendente è come la fatica scompaia. Fino a pochi minuti prima mi sentivo male. Ho la bici carica in assetto bikepacking e questo mi preoccupava. All’improvviso le gambe sembrano aver dimenticato tutto il lavoro fatto prima. Evidentemente la testa le distrae, affascinata da ciò che gli occhi vedono.
È una moltitudine di scritte che ricordano Marco Pantani e il ciclismo, quello vero, quello epico, quello fatto di imprese solitarie in cui il campione non combatte con l’avversario, ma con se stesso. Io continuo però a non sentire gli incitamenti dei tifosi e l’adrenalina della gara. Io vedo e sento il ragazzo che si allena nel silenzio del bosco. Sono ancora commosso dalla lettura di si sente solo il tuo respiro, quando trovo il tornante 6, quello più famoso, quello dove il bosco si dirada e ci si trova davanti il Cielo del Pirata. Non credo sia possibile non fermarsi per godersi una vista così bella e significativa. Poi riparto.
La caratteristica principale di questa salita è di essere sì molto dura, ma ombreggiata. Non si apre quasi mai una vista spettacolare. Si rimane molto dentro il bosco e il sole non dovrebbe essere un avversario neppure nei mesi estivi. Dopo circa due chilometri e mezzo si arriva alla località Cippo. La strada spiana per 300 metri. C’è un chiosco, tavoli per turisti e soprattutto il monumento a Marco Pantani. Una targa ricorda il famoso testo Il Carpegna mi basta.
C’è una sbarra da superare. Mi piace. Fin qui ci si arriva con le auto e le moto. Oltre rimaniamo solo noi che vogliamo arrivare in cima con la nostra sofferenza. Un cartello ricorda che qui Mercks andò in fuga. Un altro indica un limite di velocità in stile romagnolo. L’esperienza si fa ancora più mistica. La strada si ricopre di foglie. I tornanti diventano stretti. La fatica si fa sentire, ma assaporo ogni metro come una conquista.
A un certo punto arrivo alla fontana con l’abbeveratoio. La ricordavo con l’acqua che scorreva, fresca e dissetante. Oggi la trovo asciutta e chiusa da un recinto con un cancello. Provo ad aprire il rubinetto senza successo. So per certo che questa era una delle fontane di Marco e lo immagino qui a rinfrescarsi a fine salita.
La strada oramai è praticamente piana. I sei chilometri con pendenza media 10% non me li ricordo affatto, o comunque non così duri come possono apparire da una semplice lettura dell’altimetria. Rimangono circa trecento metri. Mi avvicino al GPM. Ho in faccia il sole del tardo pomeriggio. Intravedo la sagoma del Pirata in controluce. Mi fermo per la foto di rito. Rimango un po’ a godermi il momento. L’emozione prende il sopravvento. Marco, il Pirata, vivrà qui per sempre, sotto il suo meraviglioso cielo.
Ho raccontato il mio viaggio Sulle tracce dei Maestri in un video, dal quale sono state estratte le immagini precedenti.
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