Davide Valacchi. La forza del sogno
Ho conosciuto Davide qualche anno fa, quando si apprestava a realizzare un progetto meraviglioso dal nome I to Eye.
Davide mi aveva contattato perché era rimasto colpito dal mio blog e dalla pagina Facebook e mi chiedeva di partecipare a una serata in cui avrebbe presentato il suo progetto ad Ascoli Piceno, la sua città.
Ero subito andato a vedere di cosa si trattava e naturalmente ero rimasto senza parole.
Un ragazzo non vedente che partiva da Roma con due amici, in tandem, per arrivare fino a Pechino. Ma non era tanto l’enormità dell’impresa a colpirmi. No, ciò che mi colpiva era la grandezza del sogno e la mente che occorreva per immaginarlo. Perché io sono convinto che le grandi menti riescono ad immaginare quello che ancora non c’è. I grandi sognatori sono quelli che possono ancora salvare l’umanità, come hanno sempre fatto, in quanto riescono a vedere ciò che la maggior parte delle persone non accetta, perché troppo distante dalla loro realtà di tutti i giorni.
Davide non vede il tavolo di fronte a sé, ma riesce a vedere il futuro. Può immaginare l’impossibile, rendendosi conto che impossibile non è.
Un’altra cosa che mi colpiva era l’incredibile fiducia che questi ragazzi avevano l’uno nell’altro. Sarebbero stati da soli, per un anno. Avrebbero dovuto affrontare mille difficoltà. Si sarebbero fatti coraggio a vicenda. Avrebbero condiviso tutto. Che prova di amicizia!
Insomma questa cosa mi piaceva da matti e accettai subito l’invito di Davide, non capendo pienamente perché mi volesse lì.
La serata andò bene e mi fece molto piacere conoscere dal vivo Davide e i suoi amici e familiari.
Naturalmente seguii il suo viaggio sui social e non rimasi affatto deluso dalla fine anticipata del cammino, alle porte della Cina, per i soliti problemi burocratici di quel paese. Per come conosco Davide mi azzarderei a dire che la delusione non fu grande nemmeno per lui, perché credo che anche lui sia convinto che il senso del viaggio non è nella destinazione ma nel viaggio stesso.
Ci siamo sentiti spesso in seguito, ma non ci eravamo più rivisti.
Poi, la settimana scorsa Davide si fa sentire e mi dice: “dai, dobbiamo assolutamente fare un giro insieme!”
Io: “Davide, ma io non ho mai guidato un tandem. Sinceramente la cosa mi spaventa!”
E lui: “non ti preoccupare. Vedrai che è più facile di quello che credi. Vorrei fare questo giro…”
Avevo paura. Cercavo delle scuse per non andare. Mi sentivo stretto alle corde. Poi ho iniziato a immaginare… e ho capito perché quella sera ad Ascoli mi aveva voluto con lui a parlare di un progetto così lontano da me e da quello che facevo io. Vedeva in me il sognatore. Mi conosceva e aveva capito chi sono senza guardarmi negli occhi.
Così in una torrida domenica di Agosto mi sono ritrovato a pedalare in tandem tra Ascoli e i Sibillini, insieme ad un altro pazzo, apparentemente incurante dei 38 gradi e della spaventosa umidità nell’aria, un matto che si fidava completamente di me.
92 chilometri, 1600 metri di dislivello, per gli amanti dei dati statistici. Non c’è niente però che possa misurare la crescita umana. Nessun parametro, nessun KOM, niente può dire quanto un’esperienza come questa possa cambiarti la vita e renderti migliore. È anche difficile da spiegare, ma ci provo raccontando alcuni momenti.
“Davide, ma tu riesci a renderti conto di dove siamo?” Lo dico perché poco prima, mentre cercavo l’imbocco di una stradina secondaria che avevo fatto una volta sola, mi aveva detto: “secondo me è questa!”
“Io mi studio la traccia prima, la memorizzo e poi comunque riconosco certi luoghi dove sono stato, non so bene come, forse gli odori, in qualche modo li sento”
Si scherza continuamente, tanto che non mi preoccupo di usare anche l’ironia, che capisco è un’arma che Davide usa volentieri.
A una fontana, mentre metto la testa sotto l’acqua, mi si attappa un orecchio e dico: “Davide adesso tu non ci vedi e io non ci sento, siamo una coppia perfetta, potremmo fare un film!” – Si ride e Davide mi racconta una storia esilarante.
“Era uno dei miei primi giorni a Bologna (Davide vive lì). Me ne andavo in giro per la città col mio bastone. Entro in un bar e mi metto al bancone per consumare, ma nessuno mi chiede niente. La cosa va avanti per un po’, mentre mi chiedo perché il barista non si faccia sentire. A un certo punto un altro avventore si avvicina e mi dice, con un certo imbarazzo, che il locale è servito da sordomuti. Mi chiama il barista e mi dice che che devo ordinare scandendo bene le parole. Se non fosse stato per questa persona sarei rimasto lì per un bel pezzo!”
Ci rimettiamo a pedalare dopo le risate e appena spiana un po’ gli chiedo: “Quando sei riuscito a scherzare e a usare l’ironia riguardo la tua condizione?”
“Ho perso completamente la vista intorno ai nove anni. Fin da subito ho capito che piangersi addosso non sarebbe servito a niente e che dovevo accettare la sfida che la natura mi lanciava”
“Ho un figlio di quell’età Davide, non posso fare a meno di immedesimarmi più nei tuoi genitori che in te. Immagino la loro disperazione e te che gli fai coraggio, un po’ come oggi fai coraggio a me che ho paura di guidare questo mezzo e di tradire la fiducia che tu riponi in me”
L’ironia, un’arma che noi marchigiani sappiamo usare benissimo e che non sempre viene capita da chi non ci conosce. Rialzarsi in piedi, corciarsi le maniche, affrontare le difficoltà a testa bassa e, invece di piangersi addosso, trovare il modo di scherzarci su. Quante volte ho visto reagire così la mia gente!
Andiamo avanti e finalmente raggiungiamo il luogo magico: Arato, un piccolissimo borgo sopra il Lago di Gerosa.
Qui Davide è cresciuto. Qui abitano i suoi nonni, Armando e Agnese. Qui da bambino scorrazzava in bicicletta, guardando il lago e le cime dei Sibillini.
Poco prima della visita ai nonni ci fermiamo presso la famosa casa con le sculture di sassi, per una chiacchierata con il proprietario e autore delle sculture, Andrea Mei. Poi andiamo dai nonni.
Parcheggiamo il tandem e Davide entra quasi correndo. I saluti, poi Nonna Agnese tira fuori salame e pane fatto in casa, mentre Armando ci racconta che una mancanza di pioggia come questa lui, che ha vissuto 92 estati, non se la ricorda. Siamo sotto un bellissimo pergolato che fa dimenticare il caldo opprimente che c’è là fuori.
“Davide, cos’è questo posto per te?”
“Questo è il mio luogo del cuore. Adesso sono perfettamente autonomo e riesco ad andare ovunque da solo. Ma quando ho perso completamente la vista, questo era l’unico posto che conoscevo perfettamente e in cui mi sentivo libero. Ancora oggi è un luogo preziosissimo, in cui porto tutti i miei amici, perché ci tengo a fargli conoscere un luogo così importante per me.”
“Vieni che ti faccio vedere una cosa! Vedi? Lì sotto c’è il lago, da quella parte il Vettore…” Mi indica tutto con precisione. Io lo vedo. Lui ricorda. Immagina. Per un attimo immagino anch’io e vedo un bambino che si perde in quei panorami meravigliosi e sogna, come fanno tutti i bambini. Poi torna Davide: “Vogliamo andare? Si sta facendo tardi!”
Scendiamo verso il lago e risaliamo a Croce di Casale. Ci godiamo la lunga discesa verso Roccafluvione ed entriamo in Piazza Arringo con la luce del tramonto. Ci facciamo fare una foto da un passante con lo sfondo del Duomo di S. Emidio, consapevoli entrambi dell’importanza della giornata appena trascorsa, che volge al termine.
Non una fine però, perché credo proprio che la nostra amicizia sia solo all’inizio e che affronteremo ancora qualche avventura insieme.
Che il sogno continui!
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Storia bellissima. Zero retorica. Tanta vita. E niente come una storia è in grado di insegnarci l’arte di vivere.
Grazie Luca. Il tuo commento mi fa un immenso piacere.