Terremoto. Montegallo quattro mesi dopo. Impressioni di fine Inverno.
Sabato 11 Marzo 2017. Giornata fredda, partenza da Comunanza, cielo nuvoloso, vento gelido. Salgo a Croce di Casale e svolto lungo il crinale, destinazione Propezzano. Non sono più stato a Montegallo dopo il terremoto del 30 Ottobre 2016. Oggi, poco più di quattro mesi dopo, voglio farmi un’idea della situazione.
Arrivo a Propezzano. La strada è interrotta, esattamente come l’ultima volta che sono passato di qua, alla fine dell’Estate scorsa, e come allora scavalco le barriere e proseguo. L’impressione è quella di attraversare un luogo abbandonato. Case distrutte dalla furia del terremoto, strada chiusa, gente assente. L’atmosfera è quasi irreale, con raggi di sole che filtrano tra le nuvole e provocano continue variazioni tra grigio e azzurro. Le rovine appaiono sotto una luce continuamente diversa e sembrano ancora più suggestive.
Colle. L’ultima volta sono stato qui il 14 Agosto, era una giornata bellissima e si respirava aria di festa. Era pieno di gente, famiglie in vacanza, provenienti da Roma, da Ascoli, dai paesi sulla costa adriatica. Tantissimi bambini che giocavano all’aperto, innumerevoli auto parcheggiate lungo la strada. In quell’occasione ero andato a fare una passeggiata con mio figlio presso Santa Maria in Pantano. Abbiamo fatto delle foto che custodisco gelosamente, visto che ora quella chiesa non esiste più. Adesso vedo questo luogo che ricordo così pieno di vita ridotto a un paese fantasma, apparentemente con poche speranze di rinascita.
La strada più avanti è interrotta. Scavalco la staccionata e proseguo. Il Vettore è lì, sopra di me, minaccioso e rassicurante come sempre. Presto capisco il perché della staccionata. Niente a che fare con il terremoto. La strada è sepolta da quello che resta di una valanga. Terriccio, sassi, tronchi abbattuti e un’infinità di rami. Non si passa, quindi torno indietro. Non posso fare a meno di avere una sensazione terribile: l’abbandono. E’ logico, le case sono vuote, inagibili, perché pensare alla strada? A chi serve? Nessuno la percorrerà. Non è così. Credo che questi luoghi avranno la possibilità di rinascere solo se qualcuno tornerà a visitarli e le strade chiuse non permetteranno a nessuno di tornare qui. La staccionata ben piantata per terra sembra avere questo significato: non c’è più niente qui, lasciate perdere. Questo è l’abbandono.
Non mi resta che tornare indietro. Dalla strada per Balzo vedo ciò che rimane di Castro, diverse case sventrate dalla furia del sisma. Arrivo a Balzo. Qui le sensazioni sono contrastanti. Non vedo la distruzione che ho visto prima. Apparentemente le case sono ancora lì. Il vettore fa bella mostra di sé dalla terrazza dotata di vetri, presso la quale migliaia di persone si sono fatte la foto con dietro quello splendido scenario. La fontana con la sua ottima acqua, conosciuta da qualunque ciclista della zona, è lì come sempre. Cosa c’è di strano allora? Che non c’è nessuno. I negozi sono chiusi, i bar sono chiusi. Questo è proprio quello che non volevo vedere. Un luogo muore quando non c’è più nessuno ad abitarlo, a testimoniarne l’esistenza.
Ritorno verso il passo Pescolle, scendo a valle ed inizio a salire per Montemonaco. Esce il sole e questo fa pensare alla speranza. E’ curioso come in queste situazioni tendiamo a fare di tutto ciò che vediamo una metafora. Come diceva Lucio Battisti in una sua bellissima canzone, sono le cose che pensano ed hanno di te sentimento... E allora, il raggio di sole, che penetra il cielo grigio e va ad illuminare di verde il prato davanti a te, si trasforma in una metafora della speranza che nasce.
A Montemonaco la vita sembra continuare. Qualche negozio è aperto, il bar funziona anche se in un modulo, visto che lo stabile dove si trovava prima è inagibile. Ma non posso fare a meno di ripensare a ciò che ho visto un’ora prima. Gruppi di case che un tempo erano meravigliosi borghi, che ospitavano migliaia di persone in fuga dalla città e dalla vita di tutti i giorni, sono ora diventati dei paesi fantasma. Pedalando in bicicletta ci si rende conto della situazione; si percepisce la desolazione, il silenzio, l’assenza di vita.
Cosa resta allora? Restano le rovine suggestive. Resta il paesaggio. Resta il ricordo di ciò che erano questi posti. Resta il rispetto assoluto per questa gente, abituata da sempre ad affrontare prove durissime con determinazione e dignità, che probabilmente si è dovuta allontanare con molto dolore dalla propria terra. Resta l’amore per un territorio stupendo, dove la natura è spietata ma anche benevola. Un amore che paradossalmente adesso è più forte di prima, perché ora capiamo quanto quei luoghi, quelle case di pietra, quelle chiese antiche, quelle piazzette fossero importanti per noi. Resta, per quanto mi riguarda, la voglia di tornare.
I Sibillini, meravigliosa espressione della forza della natura, la stessa identica forza che si è manifestata qualche mese fa col terremoto, sono ancora lì, bellissimi e immutati. La mia speranza è quella di vedere ancora questa estate persone sulla terrazza di Balzo intente a fotografare queste stupende montagne.
Se ti è piaciuto questo articolo ti chiedo di condividerlo con i tuoi amici tramite i pulsanti social presenti qui sotto. In questo modo darai il tuo contributo alla crescita di questo blog. Grazie.
Ho fatto lo stesso ..a fine febbraio.. ma salendo da Comunanza a Montemonaco.. e tranne per il Lago di Gerosa completamente prosciugato le distruzioni erano davvero limitate…giusto qualche casa..ed il bar a Montemonaco…ammetto di non aver avuto il coraggio di arrivare a Montegallo….anche per questioni km sarei arrivato a 200 km..ma li avrei fatti volentieri se fosse stato per vedere.Vita…..
Grazie Ciro
Spero proprio che tu e tanti altri tornerete a visitare quei posti meravigliosi quando arriverà la bella stagione
Magari ci vediamo da quelle parti e pedaliamo insieme!